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Bruno e Bill – Massimo Martini

Si chiacchierava, fra amici e curatori del nuovo catalogo delle opere di Bruno.

E si “pescava” fra le maglie della sua vita.

Sorridendo, ma mica tanto.

…orrido uomo con le ghette, insultami sulla piazza, fai strame di me, che io possa essere riconosciuto, il giorno dopo, e dopo ancora, come colui che…”

Sarebbe stato il massimo dello snob, per un pittore schivo e purissimo.

E un critico appena scaltro a dire:…l’arte sublime trascende il volgare…

Ma sono tempi scivolosi.

E quando Irene ricorda di come Bruno fosse sul punto di essere prescelto quale giovane interprete de “I quattocento colpi” di Truffault:

– sembra un esame per tutti

– tutti a cercare connessioni

– in quella catena di certificazioni che conduce ai pantaloni alla zuava di Calvino

– che

– assieme a Pavese a Einaudi e al nostro

– più un quinto senza volto

– sta appoggiato al muretto con sullo sfondo un paesaggio sfocato delle langhe

– quel doc dei doc

– che chiude il cerchio dei desideri colti.

Pausa.

Per certo sappiamo che Nada Malanima ama la pittura di Bruno.

Sappiamo anche che siamo soli in questa valle di lacrime.

E che Nada volò, appesa al filo d’acciaio, mosso da un premio Nobel.

Mentre Roma sta calando pesantemente su di noi.

Passano i caffè.

Irene si alza, va in casa, si riaffaccia, dice a Bruno: vieni, c’è Valentino Zeichen al telefono.

(Valentino, come il grande Mazzola.)

Nell’attesa un pittore

– di bassa statura

– con occhi vivissimi

– del nord

– che fa quadri piccoli piccoli

– di pittura astratta

– che vende a centomilalire l’uno

– così da viverne sufficientemente bene

questo pittore quasi sussurra

– sapevamo che l’arte è una convenzione che segue regole puramente imposte

– sapevamo che impervia e fascinosa è la strada per cambiare queste regole

– ma nessuno ci disse del dolore nello stare nelle regole.

Il dolore nello stare nelle regole.

Notte.

A riporre le parole leggere, del pittore dei quadri piccoli piccoli, nella cesta dell’orgoglio.

Ma il giorno seguente c’era già altro a cui pensare, come per l’arrivo del forte vento di tramontana, che pulisce la spiaggia dai detriti, e svela nette l’isola e l’isoletta là di fronte.

La notizia.

Il produttore Amedeo Pagani aveva ingaggiato Bill Clinton per un cameo nel prossimo film di Theo Angelopulos.

Nella breve sosta a Roma, del viaggio che avrebbe portato l’ex presidente ad Atene, era prevista una visita all’atelier di Bruno Lisi.

Punto.

tu sia il benvenuto, caro presidente

è un onore per me far visita a un artista che ancora non conosco, e me ne scuso

più che a me ti pregherei di far visita ai miei quadri, che sono qui a terra accatastati

quando vedo i quadri a terra sono assalito da dubbi, da ansie e da incertezze

forse questa era la mia unica difesa di fronte a un incontro……tu capisci

comunque a me piacciono i rapporti franchi e diretti, dimmi Bruno, cos’è la tua pittura

io dipingo il colore

pausa

a me sembra che tu dipinga la materia

allora diciamo che dipingo la materia che porta il colore

diciamo la materia che per convenzione è considerata il colore

quella del tubetto

nulla più che quella

pausa

mi hai convinto: dipingo la materia essente colore

il pennello è, come dire, ascetico in questo tuo lavoro

il pennello, come vedi, ne trae i suoi vantaggi

è vero, è al centro dell’attenzione come di chi sta lì ad officiare dei riti

non mi chiedere altro, non sono pronto per diventare un concettuale

dai, varca la soglia, abbandona la materia che già chiami immateriale colore

oddio sei forte, sei proprio forte Bill

pausa

cosa posso fare per te, Bruno, oltre che ringraziarti per avermi ricevuto

pausa

mandami dei capperi dalla Grecia

hai detto capperi

sì, ho detto capperi

pausa

ok per i capperi greci e…… ciao Bruno

ciao Bill

Pausa.

Pausa.

Ma la fuga in avanti nell’atmosfera di Bill non attutiva la solitudine dello scrittore d’occasione. Ritornava quella parola gettata lì, “concettuale”, una candida provocazione emersa dagli istinti di un colloquio lunare. Ci si poteva lavorare sopra.

Ma come.

Forse accussì.

1- Non mi piace descrivere gli effetti di un gesto quando il gesto è esplicito.

1′- E… non mi attira l’idea di cercare segreti in casualità istigate.

2- Tutto in Bruno conduce al gesto esplicito, un “gesto lento” per lo più, che “va e viene”.

2′- E… la situazione talmente chiara da apparire senza vie di fuga, in altrove di senso.

3- Dice John Cage: “Diciamo che non è un Duchamp. Capovolgiamolo e lo è”.

3′- E…Sol Lewitt: “Il senso che io do al termine arte concettuale ha a che fare con il modo in cui gli artisti lavorano e tende a spostare l’accento sull’idea piuttosto che sul risultato”.

E quindi.

Lasciando a ciascun lettore di immaginare come.

Perché non prefigurare fin d’ora il giorno in cui.

Accettando un destino espanso, ben oltre Benjamin come già si usa.

Bruno, libratosi a mezz’aria nella piazzetta del fico di fronte al suo studio, proprio all’altezza di quel cavo del telefono da cui una notte d’estate precipitò per aver perso l’equilibrio uno stupido topo sopra i commensali attoniti e schifati (che poi lo giustiziarono), Bruno, come un novello Cristo, come un novello Christo, rivolto ai molteplici discepoli da ogni parte venuti, in atto di alzare la mano di pittore benedicente sussurrerà: “…andate e replicate in nome di me…”

(dal catalogo della mostra, “Opere dal 1989 al 2001”, Galleria A.A.A. Palazzo Brancaccio, 26 novembre 2001-26 febbraio 2002)