2.3. Le Mostre, 1960-2012
- 1960, Galleria Il Grigi, via del Babuino, Roma, mostra collettiva;
- 1961, Galleria Silmarc, via la farina 289, Messina; dal 5 all’11 giugno 1961, cura/testo di A. Zotof, mostra personale;
- 1962, Galleria Anthea, via del Babuino 41a, Roma, dal 17 al 28 febbraio 1962, cuta/testo di G. Selvaggi, mostra personale;
- 1964, Galleria Anthea, via del Babuino 41a, Roma, dal 27 aprile al 9 maggio 1964, cura/testo di M. Venturoli, mostra personale;
- 1969, Galleria 88, via Margutta 88, Roma, dal 26 novembre al 13 dicembre 1969, cura/testo di M. Venturoli, mostra personale;
- 1971, Galleria 88, via Margutta 88, Roma, dal 3 al 24 giugno 1971, mostra personale;
- 1972, Galleria N. Piccinni, corso Vittorio Emanuele 114, Bari, dal 13 al 25 novembre 1972, mostra personale;
- 1976, Galleria Parametro, via A. Brunetti 31, Roma, dal 22 gennaio al 21 febbraio 1976, cura/testo di C. Vivaldi, mostra personale dal titolo: “Lisi: l’ambiguità della luce”;
- 1978, Galleria Documento Arte, via del babuino 164, Roma, dal 15 marzo al 15 aprile 1978, cura/testo di C. Terenzi, mostra collettiva dal titolo “Reversibilità”;
- 1979, Galleria Documentazione Grafica, Roma, cura/testo di C. Benincasa personale;
- 1984, Temple University, Lungotevere Arnaldo da Brescia 15, Roma, dal 9 al 30 novembre1984, cura/testo di M. Volpi, mostra personale;
- 1986, Galleria Il Luogo, via della lungara 15, Roma, dal 6 al 28 maggio 1986, cura/testo di M. Martini, mostra personale;
- 1988, Sale del Bramante, Roma, dal 15 al 30 giugno 1988, cura/testo di P. Ferri, mostra personale dal titolo “Cadenze Perfette”;
- 1988, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, dall’11 al 30 giugno, dal 10 al 30 luglio 1988, mostra collettiva inaugurale dell’AOC F58 dal titolo “Il Pieno e il Vuoto”;
- 1989, Galleria A.A.M., Roma, dal 28 settembre all’11 ottobre 1989, cura/testo di F. Moschini, mostra personale;
- 1991, Galleria Eralov, via Merry del Val 20, Roma, dal 6 al 20 novembre 1991, cura/testo di E. Mascelloni, mostra personale dal titolo “Spazialità della Passione”;
- 1991, Progetto per la Fondazione Ferruzzi, Ravenna, cura/testo di F. Moschini, mostra collettiva;
- 1999, Teatro Il Vascello, via G. Carini 72/78, Roma, dal 3 al 31 marzo 1999, cura/testo L. Turco Liveri, mostra collettiva dal titolo “Sincronie”;
- 2001, Palazzo Brancaccio, Roma, dal 26 novembre 2001 al 26 febbraio 2002, cura/testo di F. Moschini, mostra personale dal titolo “Mostra Antologica 1989-2001”;
- 2001, Galleria Ninni Esposito, via Francesco d’Assisi 26, Bari, mostra personale dal titolo “Tracce di un percorso orizzontale”;
- 2001, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, 26 novembre 2001, cura/testo di C. Subrizi, mostra personale dal titolo “Come mettere in azione lo sguardo”;
- 2002, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, dal 14 al 24 gennaio 2002, cura/testo di C. Casorati, mostra personale dal titolo “Segno”;
- 2002, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, dal 28 gennaio al 9 febbraio 2002, cura/testo di P. Ferri, mostra personale dal titolo “Variazioni”;
- 2002, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, dall’ 11 al 21 febbraio 2002, cura/testo di L. Trucchi, mostra personale dal titolo “Gesto”;
- 2002, Ambasciata d’Italia, dal 17 maggio al 17 giugno 2002, Jakarta, cura/testo di P. Ferri, mostra collettiva dal titolo “deep blue”;
- 2003, Galleria Pino Casagrande, via degli Ausoni 7°, dall’8 al 12 gennaio 2003, Roma, cura/testo di P. Ferri e M. Scaringella, mostra personale dal titolo “Segno Aperto”;
- 2004, Museo della via Ostiense, Roma, dall’1 al 23 ottobre 2004, cura/testo di F. Moschini e P. Ferri, mostra personale dal titolo “Cristalli d’acqua”;
- 2009, Palazzo Chigi, via Chigi 15, Viterbo, cura/testo di P. Ferri, mostra personale dal titolo “Corpi Estranei”;
- 2012, AOC F58, via Flaminia 58, Roma, mostra personale dal titolo “Opere 2011-2012”.
2.4. Gli anni ’60 e ‘70
2.4.1. Dal 1960 al 1975
Negli anni ’60 Lisi esordì con la prima mostra collettiva, assieme a grandi esponenti dell’arte di quegli anni. Tutto il decennio fu di grande visibilità per l’artista, che si presentò al grande pubblico e alla critica con una consapevolezza mai vista e difficile da eguagliare, con un’arte ponderata e mai lasciata al caso.
Di grande importanza sono state le parole di D. Pennacchia di Nunno: «Che belli gli anni ’60, per l’arte e gli artisti furono i migliori, all’epoca c’erano gli strilloni per le strade, mi ricordo che alle mostre di Lisi veniva tutta Roma, via del babuino era transennata e anche la critica si interessava molto a lui» […] «soprattutto ricordo la grande maturità di Bruno, se lo avessi visto nel 1960, a 18 anni, avresti detto che ne avesse di più, nel modo di fare, di porsi con gli altri, anche con persone di un certo livello nel mondo dell’arte, non aveva eguali e questo, la sua arte, lo dimostra».
Come scrisse P. Ferri al riguardo, si notava in B. Lisi l’esordio in quel mondo «con un’arte legata alla figurazione, dagli accenti espressionisti, calati in atmosfere evocative, cariche di attese e sospensioni emotive1.
Sempre sul piano dell’esordio figurativo di Lisi, scrisse al riguardo M. Venturoli: «Altro gruppo di figuratori umanisti da poter confrontare con la bella fatica di Bruno Lisi, è quello degli americani che hanno esposto alla Galleria “Penelope”, soprattutto Kirschenbaum e Ruthenberg»2. Considerando la definizione “figuratori umanisti”, questo confronto si basò soprattutto nella corrispondenza artistica che Lisi ebbe con l’arte internazionale, la quale mostrava in quegli anni una continuità figurativa interessante ma presto rivisitata: gli artisti, come Lisi, partirono dalla figurazione per poi pervenire all’astrattismo, definendo la propria arte avanzata e all’avanguardia.
Come scrisse ancora M. Venturoli, in questi confronti B. Lisi si poneva in una posizione del tutto particolare, non era infatti un tonalista, come lo fu Ziveri, che tentava invano di esprimere tale ricerca attraverso una figurazione indefinita, bensì era un pittore che semplicemente portava avanti la sua «creduta esperienza astratto impressionista»3 4.
Nel corso di tutto il decennio la pittura di Lisi muta, non in modo così radicale, perché cenni di cambiamento già erano evidenti nelle prime opere, ma il colore diventa ormai un dato di fatto, una sperimentazione senza la quale è impossibile andare avanti.
Nella primissima mostra di B. Lisi del 1960, purtroppo, non ci sono cataloghi né manifesti utili alla ricostruzione del percorso espositivo ma, per fortuna, D. Pennacchia di Nunno fu presente e ricorda alcuni particolari fondamentali e alcune delle opere in esposizione.
Questa mostra fu una collettiva alla quale parteciparono artisti affermati nel panorama artistico romano e nazionale, assieme ai giovani che si affacciavano in quel momento al mondo dell’arte. L’esposizione si svolse nella Galleria “Il Grigio” sita in via del Babuino, di proprietà del fratello di Dirce, Orfeo Pennacchia d’Angello, e gestita da Fiammetta Selva e Antonio Pignatelli.
Un anno prima della Silmarc a Messina quindi B. Lisi esordì ufficiosamente a Roma e, da come racconta Dirce, il successo di quella mostra fu enorme, i critici che accorsero per vedere i grandi si interessarono da subito al giovanissimo artista e, oltre che alla sua abilità tecnica, anche alla poetica tutta nuova e personale5.
Gli artisti già affermati lo temevano molto per la sua maturità e per il suo modo d’intendere l’arte, che sapeva già guardare oltre seppur fosse un metodo ancora da sviluppare e maturare in toto, ma che rappresentava al meglio il superamento del contrasto tra figurazione e non-figurazione in atto in quegli stessi anni6.
Riguardo ai quadri che B. Lisi espose in occasione di questa mostra, ancora Dirce ricorda che furono gli stessi esposti un anno dopo alla Silmarc e poi all’Anthea dove espose prima nel 1962 e poi due anni dopo, nel 1964.
Le Composizioni geometriche furono realizzate con pennellate larghe e cariche di colore, soprattutto il bianco e il nero che delimitavano la tela creando tali forme angolate e imprecise (Fig.33 pag.65). Sono forme mai piatte, ma corpose e consistenti, le quali lasciavano, in alcuni casi, progressivamente spazio ad informi porzioni di colore che avevano la caratteristica di occupare, come sempre, tutto lo spazio della tela (Fig.34 pag.65). In altri casi ancora, le forme geometriche, sembravano quasi tradursi in parti del corpo squadrate come mani e occhi, quasi reminescenze alla Picasso (Fig.35 pag.66)7.
Assieme alle Composizioni apparvero anche le numerose e imponenti Figure femminili che Lisi analizzò molto a fondo nel corso degli anni ’60. Seppur con varianti continue, si focalizzò dapprima sull’interezza del corpo palesemente nudo, in quanto era l’unico modo per indagarlo completamente, poi riducendo l’interesse alle singole parti dello stesso corpo, mostrandole con un eloquenza comunicativa ineguagliabile, come gli occhi, le mani, la bocca, le gambe e molto altro (Fig.36 pag.66).
Nel 1961, a un anno esatto dalla prima mostra collettiva, Bruno Lisi espose a Messina, questa mostra è considerata il suo esordio ufficiale nel mondo dell’arte contemporanea. Questa di Messina è fra le tante mostre che Lisi svolgerà fuori da Roma, e che dimostrò quanto la critica contemporanea lo considerasse un’artista oltre che maturo, come già sappiamo, anche “complesso” nelle sue numerose sfaccettature.
La maturità si rifletteva anche nella professionalità lavorativa con una pittura per niente legata a schemi prefissati, alle mode e alle polemiche che stavano caratterizzando il panorama artistico contemporaneo8. B. Lisi azzardò, letteralmente, nel distacco agli esempi artistici che conosceva molto bene e con i quali era cresciuto.
Per questo motivo la ricerca artistica che Lisi mostrò a questa esposizione fu legata sin da subito alla “definizione della realtà”, una tematica che aveva ripreso dal maestro A. Ziveri, secondo però canoni rivisitati, anche stravolti con una grande espressività9.
Come scrisse il critico A. Zotof che curò la mostra: « Nell’opera di questo giovane pittore, che si presenta nel suo complesso come indubbiamente positiva, si nota soprattutto il legame del suo lavoro con il tempo in cui vive; non possiamo quindi fargli altro augurio che quello di rimanere sempre un uomo unito ai problemi della sua epoca»10.
Un po’ diversi rispetto alle Composizioni, sono i paesaggi, come Favola con la luna,e la rappresentazione della figura nel quadro Interno. Il primo, già confrontato con i paesaggi di Ziveri, sembra ancora delineare una suddivisione geometrica della tela data dalla circolarità perfetta della luna e della sua luce che, chiarissima, diparte da essa e si perde nell’oscurità del cielo, seguendo dapprima una linea orizzontale che poi viene lasciata andare (Fig.32 pag.51).
Interno,invece, anticipava le altre varianti al tema della donna, qui infatti si noti una figura femminile appena definita che occupa la parte destra della tela e si trova all’interno appunto di una quinta, resa grazie al colore, che segna linee orizzontali di demarcazione dello spazio e linee di luce che lo attraversano, concedendo all’intero quadro una certa tridimensionalità, seppur accennata (Fig.37 pag.67).
Anche nel 1962, in occasione della mostra alla Galleria Anthea, la critica accettò l’arte di Lisi in modo totalmente positivo, affermando che l’artista fu in grado di pervenire alla riconferma dell’oggettività figurativa attraverso l’elaborazione degli schemi della pittura astratta, con la quale realizzò donne giacenti, a riposo, distese, in piedi e definendone almeno i contorni, seppur non così attentamente, e lasciando all’immaginazione i dettagli fisici che non erano contemplati.
Il critico G. Selvaggi, che presentò la mostra, volle mettere in luce l’atteggiamento di Lisi rivolto ad una soluzione e al superamento tra astrattismo e figurativismo, affermando che si avvertiva palesemente nella sua pittura la volontà di uscire fuori dai moduli prestabiliti di entrambe le posizioni, in modo che si potesse proseguire verso nuove istanze. Lisi mostrava eleganza compositiva e fantasia pittorica, e convinse da subito nonostante l’avventura rischiosa.
In un articolo su “La Giustizia-Roma” F. Miele scrisse: «Le opere migliori sono quelle che lasciano intendere una presenza figurativa (la serie dei nudi per esempio), in quanto aprono nuove possibilità di dialogo fra l’essenza di un fatto e il modo di rappresentarlo»11.
Disse ancora G. Selvaggi: «la donna in Lisi assurge a senso reale di vibrazione amorosa, pur essendo ormai lontana dalla visione realistica che, per esempio, invitò Antonio Baldini a mormorare alla Paolina di Canova: “Fatti in là”, per esprimere il senso pieno di vita, appunto, che quell’immagine iniettava allo sguardo e allo stesso sangue. Non solo siamo lontani da quel modello di immagine realistica, ma siamo già alle soglie del risultato di un’immagine altrettanto vera che l’intuizione dell’artista ha ottenuto facendo franare in sé l’educazione e l’abitudine a quel mondo realistico (la scuola) ed insieme l’ansia della più ardua conquista, come è oggi solo l’astrattismo».
I suoi quadri cominciano ad essere colore a partire dal 1964, con opere quali Varietà n.1, figure orizzontali, figura nella spiaggia, figura, figure monolitiche e tanti altri che espose in occasione della seconda mostra all’Anthea, per la quale M. Venturoli scrisse: «Lisi si colloca in una posizione tutta particolare; non del rinunciatario tonalista che vagheggi le forme astratte per via cubista o atmosferica, ma del pittore il quale ha fatto la sua creduta esperienza astratto impressionista»12.
Osservando le opere che B. Lisi espose in occasione di questa mostra, permangono le figure femminili di cui si è già trattato, ma anche nuove “matrone” di cui M. Venturoli aveva già parlato in occasione della prima mostra alla Silmarc, con la messa in risalto di proporzioni e forme, tradotte in alcuni casi come manichini (Fig.38 pag.67).
Quando, in alcuni rari casi, Lisi raffigura anche i volti, essi risultano accentuati, colpiscono per la loro impersonalità: occhi incavati e scuri con uno sguardo perso nel vuoto e bocche serrate con una linea orizzontale netta (Fig.39 pag.68) che molti considerarono scaturire da una qualche ricerca informale di Lisi che voleva mostrare dissidi e tormenti interiori, cosa che per alcuni non fu, infatti, a supporto di questo, anche M. Venturoli allontanò il confronto con le ricerche Informali dicendo che quelle di Lisi erano: «figure di donne grandiose e torbide insieme […] viste da una prospettiva ravvicinata, come dal grembo materno, da un ricordo o da un rispetto infantile, eppure per niente idoli alla Moore e ossessioni alla De Kooning» bensì «donne che respirano la loro pienezza naturale»13. Altri critici invece come P. Ferri individuarono in B. Lisi una componente artistica di ascendenza informale che si tradusse sulle opere in modo emotivo e interiore14.
Il colore inoltre mette ancora di più in risalto queste figure: mai toni freddi, sempre e solo colori caldi e realistici come nel caso delle figure monolitiche: rosa acceso e screziature viola delineano le donne di Lisi che vengono inglobate dagli stessi, a volte infatti alcune parti del corpo sembrano non essere finite, altre invece sembrano non essere interessanti come, appunto, il viso. Un colore, quello di B. Lisi, lucente che fa sembrare la figura come un negativo fotografico oppure come un disegno su specchio (Fig.40 pag. 68)15.
Proprio il colore, che è sempre stata la componente più evidente nelle opere di B. Lisi, comincia a farsi preponderante proprio alla fine del decennio. In occasione della mostra alla Galleria 88, svoltasi nel 1969, questa irruenza del colore si fa sempre più netta, potremmo dire che da questo momento in poi tutta l’attività di Lisi è colore.
In occasione di questa stessa mostra, M. Venturoli, che già aveva curato le precedenti mostre, scrisse: «Sin dal ’64 Lisi collocava nelle sue tele matrone e bagnanti in un modo singolare, sopprimendo il fondo che poteva essere già astratto, senza implicazioni sceniche, riducendo al massimo il chiaroscuro e l’analisi plastica delle figure raccolte o accovacciate come forme autonome, isole di carne, campioni di persone di cui si fosse quasi perduta la specie»16.
A partire da ora invece, come dicevamo, B. Lisi decise di abbandonare la figura nella sua interezza, seppur già non la rappresentasse nella sua totalità. Il processo cominciò ad estremizzarsi, dal generale al particolare, focalizzandosi sul corpo in dettagli «ingranditi di mani, sottratti o coperti da ombre, frammenti di corpi composti in unità, fuori dalla loro compiutezza organica»17. Non solo mani, ma anche piedi, seni, fianchi, le porzioni delle figure femminili insomma, definitivamente scomposte e mai più riconoscibili nella loro interezza. L’intenzione di non rappresentare la figura umana nella sua interezza era legata proprio al concetto di astrazione: il particolare gli permetteva di scavalcare la figura per lanciarsi verso l’astratto, il tutto si perde nel colore e la linea divisoria tra le due entità diventa sempre più labile.
Qui la ricerca figurativa si fonde con la tecnica, ancora improntata alla pittura tradizionale, dalle tele, ai colori e agli impasti, con una tavolozza a metà fra i rosa e i bianchi, a ricordo, per l’appunto, del nudo.
Disse ancora M. Venturoli a proposito di queste figure: «Questi suggerimenti o memorie si presentano più spesso come una lievitazione o dilatazione di materia sensibile in via di divenire antropomorfica, piuttosto che come una “descrizione scenica o simbolica di figure femminili […] Ma il fascino di queste pitture sta nella concretezza della loro indeterminazione» […] «Sono suggestivi questo vuoto antropomorfico e questo pieno caotico»18.
Tra i dipinti più indicativi ci sono Nascita II o Nascita di Corpi (Figg.41-42 pag.69) in cui si parla di memoria e di dialettica vuoto-pieno. Altri quadri inoltre rispondono a questo dialogo, come Materia e forma dove il ruolo dell’”anticorpo” (come li chiama B. Lisi) è dato da una sagoma di donna distesa resa con il colore bianco, i cui fianchi risultano accentuati dalla delimitazione coloristica, che però inesorabilmente sembra invaderne lo spazio (Fig.43 pag.70).
Ancora, Spacco II e Nascita di corpi delimitano in modo sempre più netto uno spazio nero: pennellate di colore che aprono verso questo spazio indefinito e ancora più indefinibile (Figg.44-45 pagg.70-71).
La critica, anche quella straniera, scrisse: «A young italian, Bruno Lisi, dispalys canvases which are notable for the clarity of their colour, their brush work and their spacing on the surface. Even if you are not entranced by the subjects which he intimates, you can just as well enjoy the elements of space and form which make him a candidate for a true future»19.
Si può quindi dire, a conclusione degli anni ’60, che alla luce di molte revisioni e rotture di ponti tra astrattismo e figurativismo, che sono state il fondamento dello spirito novecentesco, si possono individuare con B. Lisi situazioni di approdo a nuovi canoni rappresentativi. Questi furono ritenuti sino a quel momento discutibili, presentati tramite una serie nuova di prospettive di visioni sulla realtà, che meglio del resto la colgono nella sua verace condizione oggettiva. La percezione non è più soltanto un dato di riferimento da armonizzare su certi schemi di composizione, ma essa stessa quale esperienza, quale ricognizione formale, offre la struttura che la definizione dell’immagine sulla tela dovrà identificare. E’ una ricerca sull’espressione, di cui non poteva l’immagine dell’uomo subire più profonde operazioni di verifica.
Questa attenzione sulle parti del corpo continua nell’arte di B. Lisi almeno fino alla metà degli anni ’70, se si osservano infatti i quadri esposti in occasione delle mostre a via Margutta nel 1971 e a Bari alla Galleria Piccinni nel 1972, la ricerca figurativa veniva portata finalmente al termine, un ciclo artistico che era stato analizzato fino al midollo e volgeva così al termine (Figg.46-50 pagg.71-73).
2.4.2. Dal 1975 alle serie degli anni ‘80
Intorno alla metà degli anni ’70 nell’attività artistica di B. Lisi si evidenziò l’avvicendarsi di un nuovo modo di presentare la sua poetica artistica: l’artista sembrava aver ormai raggiunto la consapevolezza definitiva di non poter fare a meno di indagare il colore nella sua totalità, senza nessun tipo di incidenza figurativa che, fino a quel momento, era stata considerata come mezzo ulteriore di risalto del colore e non come figurazione fine a sé stessa.
In occasione della mostra che si svolse alla Galleria Parametro e intitolata “Lisi, l’ambiguità della luce”, C. Vivaldi che la curò scrisse: «La pittura attuale di Lisi si serve di una iconografia estremamente limitata e severa: uno o più fasci di luce verticali che si restringono a cuneo al centro del quadro partendo dal suo margine superiore e che toccano, coi vertici, altrettanti identici fasci di luce provenienti dalla base del quadro stesso»20.
La tela è bianca o, in poche occasioni è di colore più scuro, fasci di luce di forma conica allungata la tagliano in modo preciso e definito, come nel caso del quadro Reversibile e si fermano al centro della tela senza proseguire. In altri casi i tagli, dal centro della tela, proseguono fino in fondo, in una sorta di ribaltamento dell’immagine attraverso l’uso di uno specchio, oppure, attraverso un prisma immaginario che riflette questa luce. L’ origine di questa luce è sconosciuta, passa attraverso la forma e prosegue sulla superficie della tela, creando, secondo Lisi, una tensione: Tensione luce-Ambivalenza; Tensione luce-Risonanza; Tensione luce-Simultaneo21(Figg.51-54 pag.74).
Il colore qui viene usato per creare accostamenti e dissonanze cromatiche che la luce accentua e, allo stesso tempo, determina lo spazio totalmente illusorio. La poetica di B. Lisi qui è ormai di totale astrazione: attraverso un processo analitico tutto ciò che era reale si connota, da adesso in poi, in modo interiore ed emotivo, un processo irreversibile del quale B. Lisi non si pentirà mai, anzi, vi rimarrà sempre coerente.
Nel biennio 1975-1976 B. Lisi realizzò dei quadri molto particolari (Figg.55-60 pagg.75-76) 22che risultano essere l’anticipazione di concetti geometrici che ridusse all’osso dalla fine del 1976. Questi quadri si configurano come un retaggio figurativo importante, c’è qualcosa che ricorda una forma d’essere tangibile e reale, embrioni che prendono corpo nella mente umana. I colori sperimentati, inoltre, sono la conseguenza coloristica delle esperienze figurative appena passate datate fine anni ’60 inizi anni ’70.
Dopo i fasci di luce e le forme “embrionali”, nella mostra del 1976 che si svolse alla Galleria Parametro, Lisi espose delle opere elaborate quello stesso anno e che si focalizzavano sull’esaltazione delle forme geometriche che sembravano attrarlo ed ispirarlo particolarmente. B. Lisi realizzò dei quadri in serie di cerchi e semicerchi improntati su colori candidi e appena percettibili che espose nel 1978 alla Galleria Documento Arte. Questi quadri erano ormai fondati sulla sperimentazione coloristica più che sull’immagine in sé: i dischi colorati, in particolare, sono interessanti per la loro peculiarità di variazione interna del colore, la quale anticipa di molto le ricerche successive datate anni ’80 e che esprimerà a fondo attraverso le serie che saranno oggetto della prossima analisi (Figg.61-63 pagg.76-77).
Fig. 33. B. Lisi, Composizione n.1, 1960-1961.
Fig.34. B. Lisi, Piccola Tela, 1960-1961;
Fig.35. B. Lisi, Composizione n.2, 1960;
Fig.36. B. Lisi, Figura femminile, 1962;
Fig.37. B. Lisi, Interno, 1961;
Fig.38. B. Lisi, Figure orizzontali, 1964;
Fig.39. B. Lisi, Figura, 1964;
Fig.40. B. Lisi, Figura femminile n.2, 1964;
Fig.41. B. Lisi, Nascita II, 1969;
Fig.42. B. Lisi, Nascita di Corpi, 1969;
Fig.43. B. Lisi, Materia e Forma, 1969;
Fig.44. B. Lisi, Spacco II, 1969;
Fig.45. B. Lisi, Nascita di Corpi, 1969;
Fig.46. B. Lisi, Mani, 1971;
- 1 Cfr. P. Ferri, depliant della mostra di B. Lisi a S. Maria del Popolo “Cadenze Perfette”, Roma 1988;
- 2 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi del 1964 alla Galleria “Anthea”, Roma 1964;
- 3 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi del 1964 alla Galleria “Anthea”, Roma 1964;
- 4 Cfr. Ibidem;
- 5 Cfr. intervista a D. Pennacchia di Nunno, pag. 130;
- 6 Vedi supra parr. 1.4. e segg.;
- 7 Cfr. le figg. 33 e 35 a pagg. 65 e 66 sono intitolate entrambe dall’artista come Composizioni, per distinguerle sono state numerate come Composizione n..1 e Composizione n.2;
- Cfr. A. Zotof, depliant della mostra di B. Lisi alla galleria “Silmarc”, Messina 1961;
- 9 Vedi infra 2.2.;
- 10 Cfr. A. Zotof, depliant della mostra di B. Lisi alla galleria “Silmarc”, Messina 1961;
- 11 Cfr. F. Miele, Bruno Lisi, in La Giustizia, mercoledì 28 Febbraio, Anno LXXXVII, n. 50, Roma 1962, pag. 3;
- 12 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Anthea”, Roma 1964;
- 13 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Anthea”, Roma 1964;
- 14 Cfr. intervista a P. Ferri, pag. 139;
- 15 Cfr. la fig.40 a pag. 68 è convenzionalmente denominata Figura femminile n.2, per distinguerla dalla fig.36 a pag. 66;
- 16 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “88”, Roma 1969;
- 17 Cfr. Ibidem;
- 18 Cfr. Ibidem;
- 19 Cfr. Ibidem;
- 20 Cfr. The Rome Weekly, in Daily American Magazine, June 13-20, 1971;
- 21 Cfr. C. Vivaldi, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Parametro”, “Lisi: l’Ambiguità della Luce”, Roma 1976;
- 22 Cfr. Questi quadri sono stati definiti convenzionalmente Embrioni, non avendo riscontrato denominazione alcuna da parte dell’artista.