Lisi era solito definire questa sua elaborazione pittorica con l’espressione “tiro linee” che semplifica effettivamente il processo creativo delle opere, in realtà era qualcosa di più profondo e complesso nel suo essere e presentarsi, era un ritorno all’origine della pittura, una necessità di ripartire da capo, dagli elementi basilari della pittura, senza però dimenticare i precedenti, si può definire come la necessaria chiusura di un capitolo per aprirne un altro portandone con sé il bagaglio culturale che ne scaturisce, era piuttosto una necessità di vedere le cose in modo inesplorato, un approccio all’arte che fosse nuovamente puro e incontaminato.
Il processo di vero e sentito rinnovamento inizia proprio dopo un viaggio che l’artista fece a Otranto, la città lo ammaliò, con il suo paesaggio marittimo che Lisi amava moltissimo2, questa esperienza di vita vissuta diede origine alle carte che facevano da supporto a linee in acrilico molto sottili, quasi impercettibili se non fosse per il loro affollare e ricoprire pressoché interamente la carta; colori verdi e ancora i blu, di una profondità che ricorda i giochi di colore del mare, ma anche rosa, rosso e viola come varianti emotive da esprimere.
Come d’improvviso alcune linee si fanno più marcate, in una verticalità netta che rompe lo schema orizzontale di quelle di base, come le definisce Irene Ranzato sembrano quasi cicatrici dell’anima tormentate, dolorose e nette, come se nella pacatezza del mare, metafora appunto dell’anima esse fossero state accettate ed emergessero finalmente in superficie manifestandosi nel loro essere.
Dal 1994 questi Segni si fanno sempre più marcati, oltre che netti e spessi, tanto da infittirsi sulla tela, infatti le cicatrici ben definite di Otranto vanno svanendo progressivamente, in alcuni casi sono sentite dall’artista come presenza permanente da accettare (Figg.94-99 pagg.102-103), in altri casi successivi, invece, rimangono solo linee occasionali che interrompono in modo flebile le linee continue, ma cominciano ad essere comunque vaghi e lontani ricordi nella mente, dai quali l’artista si sta distaccando.
Le tele sono molto grandi, alcune già viste, sono le forme allungate delle Stele, i colori usati invece rispecchiano sempre l’interiorità, sono il blu e il verde della serie precedente, anche il bianco, il giallo e tanti altri colori che adesso risultano meno asettici rispetto ad Otranto, anzi più corposi e brillanti, conferiscono alle linee maggiore movimento e tensione, quasi a testimoniare una maggiore consapevolezza nella ricerca intrapresa (Figg.100-105 pagg.103-104).
Se si osservano attentamente le linee, esse sono tutt’altro che precise, F. Ciuti le definisce “elettroencefalogrammi”, come se l’emotività dell’artista si palesasse attraverso quel gesto tremulo della mano, non è quindi dettato dal caso, ma da una volontà ragionata che cela un significato a priori, quasi una necessità fisica che si manifesta solo ed esclusivamente in questo modo, un processo analitico dell’io che Lisi riduce in modo concettuale e minimale. Il segno, dunque, non è un semplice definire linee ma la capacità di dare ad esse un significato e saperne riconoscere la poetica, e in questo Lisi riesce appieno.
Lisi definì queste serie tutte come Segni, ma c’è una variante che è quella dei Gesti che elaborò dal 1998 al 2001, è sempre un «dipingere breve» come lo definisce L. Trucchi nell’antologica3 ma differisce dalla segnicità delle esperienze precedenti (Figg.106-114 pagg.104-105).
Alcuni definirono questi quadri con il termine di Scatole di pittura come contenitori semi-vuoti di oggetti, sparsi qua e la sulla tela, disordinati e disomogenei, tutti diversi e apparentemente casuali. Lisi realizzò questi gesti non con pennellate di colore bensì con sonagli per bambini che modificò lui stesso, permettendo al colore di colare nella giusta quantità e modalità4 secondo una ricercatezza che, appunto, è tutt’altro che casuale.
Scrisse ancora L. Trucchi: «Una o due o tre linee larghe, irregolari, che ora si posano per brevi tratti ora si allungano come se partendo da lontano dopo il protratto incontro con la superficie continuassero nella corsa lasciandone in noi l’eco. Generato dall’inconscio e fortemente intenzionato dalla ragione il gesto diventa il soggetto del dipinto. Un gesto che invade la tela in un amplesso fecondo»5.
Rispetto al segno si può dire che nella ricerca pittorica di Lisi il gesto viene prima, ovvero esso è un rincorrere ancora di più l’origine primaria della pittura, non è altro che riuscire a capire come arrivare al segno per manifestarlo in quanto tale, è un processo ancora più esemplificativo del segno e più ancestrale, generato da una modalità, appunto, gestuale completamente diversa, che viene ancor prima del vero e proprio “tirare linee”6 e che indica un percorso generato da un procedere a ritroso, nel tempo e nell’inconscio.
B. Lisi era solito riprendere concetti e poetiche già sperimentati per poi declinarli secondo significati differenti, vedremo che questo accadrà a breve anche con i Blu intesi dalle Variazioni e, appunto, proprio dopo i Gesti ritornò il segno presentato sotto aspetti differenti, il cosiddetto Segno Aperto che nel 2003 venne esposto in una mostra alla Galleria Pino Casagrande (Figg.115-120 pag.106).
Il concetto che Lisi presentò in questi lavori si può dire fosse il medesimo delle Stele: se si osservano infatti i segni creati dall’artista sono una ripresa di qualcosa di già sperimentato, ma questa volta sulla carta, inoltre sembra che Lisi fosse molto interessato all’istallazione delle sue opere, infatti i fogli furono appesi su delle corde invisibili come fossero preghiere buddhiste (Figg.121-122 pag.107).
P. Ferri, che curò la mostra, scrisse per l’occasione che questi segni dimostrano una volontà in Lisi di presentare una «secca riduzione all’essenziale che distilla sintesi e profondità»7 e prosegue parlando del segno come «emblematico nelle sue variazioni dinamiche, nella sua realtà pulsante profondamente, intimamente connessa agli eventi e aperta a manifestare ogni variazione che, coinvolgendo più livelli di esperienza, rappresenta la differenza, facendo affiorare l’essenza della vita stessa»8.
Se si osservano attentamente questi Segni sono antecedenti all’ultima serie dei Corpi Estranei analizzati più avanti, se confrontate, le due produzioni sembrano quasi combaciare. Si può dire che siano il medesimo concetto che, attraverso un’elaborazione altra a livello materiale, mutano in forme più complesse sul piano tecnico e, infine, su quello emotivo.
Figg.94-99. B. Lisi, Otranto, 1993-1994;
Figg.100-105. B. Lisi, Segni, 1994-1997;
Figg.106-114. B. Lisi, Gesti, 1998-2001;
Figg.115-120. B. Lisi, Segno Aperto, 2003;
Figg.121-122. Allestimento della mostra Segno Aperto alla Galleria “Pino Casagrande”, Roma 2003;
- 1 Cfr. intervista a I. Ranzato, pagg. 142-143;
- 2 Cfr. Ibidem;
- 3 Cfr. L. Trucchi, Un dipingere breve, in F. Moschini (a cura di) Bruno Lisi, Opere dal 1989 al 2001, pag. 98, Roma 2001;
- 4 Cfr. intervista a I. Ranzato, pag. 143;
- 5 Cfr. L. Trucchi, Un dipingere breve, in F. Moschini (a cura di) Bruno Lisi, Opere dal 1989 al 2001, pag. 98, Roma 2001;
- 6 Cfr. intervista a I. Ranzato, pag. 142;
- 7 Cfr. P. Ferri, M. Scaringella, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Pino Casagrande”, “Segno aperto”, Roma 2003;
- 8 Cfr. Ibidem.