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Bruno Lisi: l’evoluzione della pittura astratta nel contesto romano degli ultimi decenni – Silvia Palermo

2.5.6. Variazioni

Nel biennio 1997-1998 B. Lisi interruppe temporaneamente la poetica del segno per riprendere il tema del Blu secondo un concetto completamente diverso, infatti non si parla più come prima di “finestre” sull’altrove e di “soglie” tra due realtà, bensì la nuova poetica è legata adesso alle numerose variazioni presentabili del colore utilizzato. Il significato del blu è il medesimo della serie prima, ovvero, l’essenza spirituale in quanto tale che si fa palese dalla mente dell’artista sulla tela, attraverso un processo di analisi e di concettualizzazione estreme1.

B. Lisi non lavora quindi sul segno per scelta, ma qualcosa del segno viene ripreso: la serialità. Le numerose varianti riprodotte, appunto, in serie, per essere colte davvero, devono essere viste insieme e mai singolarmente, infatti i quadri sono presentati sempre come dittici oppure come trittici, poiché, secondo la volontà dell’artista, solo così si possono individuare sfondi di colore rosso e bianco ricoperti dalla predominanza dell’apparente solitudine e del blu profondo (Figg.123-129 pag.109).

Le Variazioni vennero presentate in mostra all’estero, a Jakarta, con il titolo “Deep Blue” e P. Ferri che curò la mostra scrisse a proposito di questo blu inteso come concetto di unione fra due entità, ovvero il mare e l’arte: «Un blu profondo che è come l’onda, esperienza di vuoto e di infinito, cortocircuito di spazio e tempo, del mare e dell’arte che come il mare si chiama diversamente a seconda delle coste che lambisce: un’arte nella sua accezione originaria che con il mare ha in comune molto più di quanto si può immaginare a un primo sguardo: entrambe materie misteriose, abissali e trasparenti, contenenti il principio dell’anima vitale e della creazione e le onde anomale della psiche, del profondo e del sommerso che affiora»2.

Figg.123-129. B. Lisi, Variazioni, 1997-1998;

2.5.7. Corpi Estranei

In una mostra del 2009 B. Lisi espose l’ultima serie di opere realizzate già dal 2005, ovvero i cosiddetti Corpi Estranei. La mostra, curata da P. Ferri, fu tra le ultime che Lisi riuscì a realizzare poco prima della sua morte.

Quella dei Corpi estranei è una serie molto dibattuta tra le persone che conobbero Bruno Lisi, alcuni infatti dicono di non riconoscere la sua poetica che sembra ormai estraniata rispetto alla continuità e coerenza che l’artista aveva sempre dimostrato in passato3, altri la definiscono come un’ennesima alta dimostrazione della capacità di ricerca di Lisi, mai scontata e banale (Figg.110-118 pag.76).

Il primo approccio ai corpi è un colpo d’occhio: visti da lontano nella loro piccolezza infinitesimale possono sembrare tante macchie scure, nerissime, che sembrano allargarsi progressivamente sul bianco del supporto senza nessuna possibilità di distinzione, bloccando all’improvviso la loro crescita. La sorpresa arriva dall’osservazione ravvicinata: una varietà infinita di possibilità, tanti piccoli collages di porzioni di capelli e immagini ripresi dalle riviste di giornali, ritagliati minuziosamente e “incastrati” gli uni con gli altri, quasi a formare dei puzzles. Quei buchi che sembravano solo neri, si fanno poi sempre più distinguibili con inserti di colori a volte brillanti come il rosso, il blu, l’arancione e il giallo.

Inoltre, ai collages Lisi era solito aggiungere delle linee realizzate con la penna a sfera, quasi a voler dare ai “corpi” un prolungamento ancora più irreale ed astratto, che conferiva alle immagini una parvenza totalmente aliena a qualsiasi forma del reale; non sappiamo bene il motivo di questi interventi con la penna a sfera, I. Ranzato ipotizza che fosse una necessità di Bruno di voler completare in qualche modo l’immagine attraverso un intervento di sua mano quale il collage di per sé non era4. Anche questi corpi potrebbero essere infatti declinati come arte del gesto, «grovigli di gesti perentori e liberati»5 espressi secondo una poetica di grande concettualità.

Scrisse ancora P. Ferri: «Lisi è un’artista di soglia, un poeta del vuoto radicale che coltiva ossessioni cicliche e imponderabili che in ondate improvvise e ritmiche e risacche romantiche, alleviano dall’insostenibile pesantezza dell’esistenza»6.

In effetti in questa serie si denota una creazione ossessiva fatta di varianti infinite, P. Ferri le definì “short stories”, di corpi astratti derivati dall’inconscio artistico che genera una creatività completamente suggestiva che ben si accorda, ancora una volta, con il vuoto. Questa volta più che mai la ricerca è interiore ma rimane implosa, dimostra una condizione esistenziale sofferta e tormentata che genera appunto una ricerca minuziosa e dai ritmi veloci secondo una dimensione per Lisi controllabile e un’iperproduttività ineguagliabile7.

Come disse P. Ferri: «L’inizio di ogni ciclo di opere […] esprime una sorta di rigenerazione, una vera e propria rinascita estetica ed esistenziale»8. Un elemento però è ancora più estraneo a questo processo creativo: la casualità; lungi infatti dalla complicata elaborazione tecnica di queste opere, che risultano riflettute fino all’osso, la stessa I. Ranzato ha detto: «Non credere che queste opere siano generate dalla casualità, come potrebbe sembrare a prima vista; Bruno stava lì al suo tavolo quasi tutto il giorno a cercare la perfezione dell’immagine; mai nessun pezzo veniva messo lì in modo casuale, doveva essere tutto esteticamente chiaro e coordinato, non poteva lasciare nulla al caso, non era nella sua indole».

Con questa ultima serie, così tormentata e sofferta, si chiuse la lunga attività artistica di B. Lisi.

Figg.130-138. B. Lisi, Corpi Estranei, 2005-2009;

2.6. Le Tecniche

«I miei quadri sono operazioni alchemiche realizzate con materiali poveri»9

B. Lisi

B. Lisi apprese la pittura all’Istituto d’arte di Roma “Silvio D’Amico”, e questa fu proprio la tecnica che prediligerà per gran parte della sua attività artistica, ma non fu la sola.

Negli anni dell’Istituto gli allievi si esercitavano anche sulla riproduzione dei grandi artisti del passato, in particolare B. Lisi seguiva la sezione di decorazione pittorica di A. Ziveri e, grazie a questi insegnamenti, gli fu possibile anche svolgere l’attività di restauro per chiese e palazzi situati in Abruzzo e in Molise, nello stesso periodo in cui presiedeva la cattedra presso l’Istituto d’Arte de l’Aquila10 11. In occasione di un’intervista che gli fece la critica M. Volpi per la mostra alla Temple University del 1984 l’artista parlò proprio della tecnica dell’affresco:

M. Volpi: «un tempo hai fatto restauri di affreschi. Come utilizzi questa esperienza per dipingere i tuoi quadri?»

B. Lisi: «L’affresco è la magia del colore succhiato dall’intonaco per inglobarlo e ridonarlo nella sua potenzialità astratta. E’ ogni volta un’operazione alchemica che tento nelle mie superfici, usando tecniche estremamente povere»12.

L’esperienza dell’affresco che Lisi fece durante i numerosi restauri fu quindi utile come maturazione di tale tecnica non solo fine a sé stessa, ma anche nei riguardi della sua propria arte, fu un mezzo di espressione di cui Lisi intelligentemente si appropriò e fece, anche in questo caso, individuale e personale. Si può dire che l’affresco sia in sé la sperimentazione massima e principale del colore che si incorpora chimicamente sulla parete, e lì si conserva, e il fatto che Lisi definisse i suoi quadri come “operazioni alchemiche” si rifà proprio a questo principio, come il colore dell’affresco attecchisce sulla parete, il suo di colore radica sulla tela, un colore che trascende il reale e in grado di esprimere il processo di liberazione interiore dell’artista.

Tra il 1960 e il 1965 B. Lisi partecipò alla decorazione interna del transatlantico “Raffaello”13, in quell’occasione si cimentò in un’altra tecnica, ovvero l’incisione, sempre appresa negli anni dell’Istituto d’Arte, la cui maestria è evidente dalla realizzazione di 16 pannelli di grandissime dimensioni occupanti ben 25 mq di parete con figure ispirate a Raffaello.

Almeno però fino agli anni ’80 Lisi si avvalse dell’uso della pittura sulla tela, per il quale ebbe da sempre un significato importantissimo di bisogno fisico, era qualcosa che prescindeva da lui e senza la quale non poteva essere, per questo si considera la tecnica principale della sua attività e l’unica in grado di permettergli di esprimere ciò che voleva fortemente.

Nella produzione di Lisi non si possono però dimenticare varianti tecniche successive alla pittura e altrettanto importanti, come la sperimentazione del metacrilato e della penna a sfera, quest’ultima ritornerà anche nelle ultimissime produzioni datate 2002-2009.

Anche per queste ultime è insita ed implicita un’altra ricerca di resa pittorica, poiché la cercò sempre e non smise mai, fino alla scelta obbligata dei corpi estranei, per i quali riprese una tecnica tipica della Pop Art, il collage, realizzato attraverso l’uso di pezzi di giornali incollati su supporti plastici bianchi come le tele.

2.7. L’inquadramento artistico di Bruno Lisi, considerazioni finali

Dopo quanto detto su Bruno Lisi è opportuno esprimere delle considerazioni a posteriori che riguardano l’inquadramento dell’artista nel contesto storico-artistico di riferimento. L’analisi formale delle opere dell’artista ha sempre reso difficile la definizione della sua attività, quindi la domanda è se effettivamente può essere possibile inquadrare Lisi in una, o più, specifiche correnti contemporanee?

La risposta è difficile da individuare, soprattutto perché i critici che si occuparono di Lisi espressero opinioni discordanti, di seguito se ne analizzano alcune.

Nel 1969 il critico M. Venturoli scrisse in occasione della mostra di B. Lisi alla Galleria 88: «Certo chi non fosse entrato nella semantica dell’artista e volesse leggere le sue opere soltanto nel gusto Informale, potrebbe essere indotto in errori gravi e forse a non comprendere la natura poetica e pensosa di Lisi»14.

Ancora, per la mostra del 1976 alla Galleria Parametro C. Vivaldi disse: «La pittura di Lisi è difficilmente “ etichettabile” e assai male riconducibile a questa o a quella tendenza di moda, sia pure la cosiddetta “nuova pittura” che è diventata dilatabile al massimo e onnicomprensiva. Direi che anche per questa ragione essa va riguardata con molto interesse, frutto, come è, di una personalità orgogliosa di procedere per proprio conto»15.

Riprendendo le parole di P. Ferri, si può considerare la pittura di Lisi derivante da una matrice informale, come disse appunto M. Venturoli, questo perché era permeata dell’esperienza interiore che si palesava attraverso un elaborazione analitica del sé, ma all’esterno il tutto arriva spesso concettualizzato e minimale, proprio grazie al processo di astrazione che fu, a detta dello stesso Lisi, il suo modo prediletto di autoconsiderarsi.

Il critico F. Moschini introdusse Lisi nella “generazione degli artisti di mezzo” a metà cioè fra gli informali e i neoespressionisti16, ma appunto, si può benissimo affermare che la poetica di Lisi fu molto più che informale, anzi forse completamente diversa, in una posizione alquanto difficile da definire con facilità.

Ancora C. Vivaldi nel 1976 al Parametro17 scrisse: «Dopo esordi assai brillanti nell’ambito della nuova figurazione […], Bruno Lisi ha lavorato per anni senza esporre, senza cercare contatti col pubblico, tenendo però un rapporto vivo e dialettico con amici artisti e critici e quindi con la cultura attiva. Sono stati anni di raccoglimento e meditazione, più che di isolamento, durante i quali Lisi ha maturato, traverso una serie di passaggi graduali, una propria arte non figurativa originale e intensa»18.

I passaggi graduali di cui parla Vivaldi sono da tener presenti in quanto, come detto poc’anzi, l’arte di Lisi fu davvero ragionata, quindi per questo non si può parlare di informale e neanche di neoespressionismo che deformava la figura secondo le inquietudini più profonde dell’essere interiore.

L’arte di Lisi seguì quindi un progetto individuale, esclusivo, soggettivo e diretto che diventò ancora più consapevole durante i ’70, dopo quella pausa di cui parlava Vivaldi, tornando poi in auge negli ’80 con le numerose “ossessioni” di cui parlò poi P. Ferri.

Nel 1986 B. Lisi espose alla Galleria “Il luogo” a Roma, in un interessante conversazione con l’amico architetto M. Martini, l’artista parlò della sua scelta artistica verso l’astrattismo e l’abbandono della figurazione:

B. Lisi: «Eppure non mi vergogno a dire che sento un bisogno di ordine. Lo cerco, almeno».

M. Martini: «Forse è la conseguenza principale, quasi inevitabile oserei dire, della tua scelta a favore dell’astrattismo».

B. Lisi: «Non voglio essere frainteso, non sono contro l’arte figurativa; è che non voglio rimanere impantanato nell’oggetto-soggetto del mio quadro» […] concettualmente, a priori, ho dovuto scartare ogni riferimento realistico, anche se, lo ribadisco, ho problemi di ordine nel dipingere. E’ un vincolo non essere figurativi. Ma voglio insistere su questo punto»19, disse ancora Lisi: «Da tempo prediligo l’inconscio, il magico; vivere la visione dell’assurdo possibile»20.

In conclusione, come dice P. Ferri, Bruno Lisi è da definire come artista autonomo, non può essere inserito in gruppi o correnti, ma per comprendere la natura della sua arte è necessario analizzare il suo lavoro comparandolo al contesto storico-artistico contemporaneo, in quanto Lisi fu sempre molto attento ai linguaggi artistici a lui contemporanei21.

  1. 1 Vedi supra par. 2.5.1;
  2. 2 Cfr. P. Ferri, depliant della mostra collettiva all’Ambasciata Italiana di Jakarta, “deep Blue”, Jakarta 2002;
  3. 3 Cfr. intervista a D. Pennacchia di Nunno, pag. 134;
  4. 4 Cfr. intervista a I. Ranzato, pagg. 143-144;
  5. 5 Cfr. P. Ferri, depliant della mostra a Palazzo Chigi, “Corpi Estranei”, Viterbo 2009;
  6. 6 Cfr. Cfr. P. Ferri, depliant della mostra a Palazzo Chigi, “Corpi Estranei”, Viterbo 2009;
  7. 7 Cfr. intervista a P. Ferri, pagg. 140-141;
  8. 8 Cfr. P. Ferri, Ciao Bruno Lisi: l’arte sulla propria pelle, articolo, www.artapartofculture.net;
  9. 9 Cfr. M. Martini, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Il luogo”, Roma 1986;
  10. 10 Vedi supra 1.1;
  11. 11 Cfr. intervista a F. Ciuti, pagg. 125, 127;
  12. 12 Cfr. M. Volpi, depliant della mostra di B. Lisi alla Temple University, Roma 1984;
  13. 13 Vedi supra 1.1;
  14. 14 Cfr. M. Venturoli, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “88”, Roma 1969;
  15. 15 Cfr. C. Vivaldi, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Parametro”,“Lisi: l’ambiguità della luce”, Roma 1976;
  16. 16 Cfr. F. Moschini, depliant del progetto A.A.M. Architettura Arte Moderna, Percorsi nel moderno e nel contemporaneo, Bruno Lisi, Ferruzzi per l’arte, Ravenna 1991;
  17. 17 Cfr. C. Vivaldi, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Parametro”,“Lisi: l’ambiguità della luce”, Roma 1976;
  18. 18 Cfr. Ibidem;
  19. 19 Cfr. M. Martini, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Il luogo”, Roma 1986;
  20. 20 Ibidem;
  21. 21 Cfr. intervista a P. Ferri, pagg. 135-136, 138-139.