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Cristalli d’acqua – Patrizia Ferri

Il percorso artistico di Bruno Lisi culmina in una serie di grandi tele rettangolari e di sculture di metacrilato: oggetti misteriosi che si rapportano spontaneamente all’architettura respirando in sinergia con il tutto. Geometrie totemiche di luce assoluta che affiorano da un originale immersione negli abissi originari del linguaggio, del senso, della vita, come presenze enigmatiche, epifanie naturali e sospese provenienti da un mondo virtuale, da uno spazio dove il tempo si è fermato.

Esiti di una ricerca radicale di bellezza pura e azzerata che risponde a un’etica dello sguardo, secondo un’ intensa, incisiva, lirica e radicale interrogazione sul vuoto significante all’interno di un progetto lucido. Un’operazione all’insegna dell’ossimoro e dell’ibridazione, ma contemporaneamente della disciplina e dell’armonia che oscilla tra forma e sua negazione, metodo e sua disgregazione riflettendo sulla condizione presente di un mondo il cui ordine si edifica nello squilibrio e nell’instabilità, approdando nel luogo complesso e misterioso dell’atopia nella condensazione di memorie passate proiettate nel futuro.

La capacità dell’artista di astrarsi dalla realtà è analoga sotto certi aspetti a quella del calligrafo orientale, anche per quel modo di intendere il suo rapporto con la realtà all’insegna di uno stile di vita che vede l’arte e il quotidiano come esercizi di spiritualità, e considera il contesto come una continua, fluida trasformazione di processi energetici, come sistema aperto e in continua trasformazione. Il vuoto infatti, secondo Lisi, è una molteplicità, un intreccio dialettico che non esiste allo stato puro – irrelato come secondo l’ipotesi metafisica, – di cui coglie ed esprime le potenzialità estetiche ma anche dinamiche ed energetiche, sondando da vicino il nesso tra le relative forme e fonti del vuoto stesso per cui, da semplice concetto si trasforma in autentica energia produttiva che si manifesta in maniera sensibile ed inequivocabile nell’opera. Un processo affidato a un segno come intensità sotterranea, fatto di vibrazioni, oscillazioni a cui l’artista affida esemplarmente il passaggio fondamentale di andare oltre il visibile e l’apparenza delle cose, superando la tendenza istintiva a riconoscere, per cercare invece di conoscere. La complessità come tale solleva incertezze e domande che dispongono alla ricerca perché solo nei margini del dubbio aperto e della sospensione è possibile guardare al futuro e ripensare liberamente al passato, spostando anche la dimensione del lavoro creativo dagli assiomi alle relazioni. “Se l’uomo non svanisse come le rugiade di Adashino, se non si dileguasse come il fumo sopra Toribeyama, ma rimanesse per sempre nel mondo, a che punto le cose perderebbero il loro potere di commuoverci! La cosa più preziosa della vita è la sua incertezza”. (Kenzo, “Momenti d’ozio”).

La ricerca segnica nell’arte dall’informale in poi si è caratterizzata come scardinamento delle categorie linguistiche e filosofiche, nonchè prolungamento all’esterno dell’interiorità dell’autore in quanto legata strettamente all’intensità dell’esperienza individuale, nel coinvolgimento di vari livelli di esperienza. Nel rapporto che quest’ultima stabilisce con la propria epoca si ribadisce la necessità di ripristinare la ragione e la funzione dell’arte stessa : i segni di Lisi condensando la saturazione del senso con la sintesi minimale in quanto tracce liriche e calligrafie dell’anima in cui prende forma l’esistenza, sono segni esemplari, decantati, filtrati al setaccio concettuale e nello stesso tempo fedeli alla loro essenza naturale, fitomorfica, evocativa di acque e cieli. Tracce di un’incisiva memoria della natura e della pittura, sorta di ikebana che suggerisce la sostanziale caducità di rami,atomi e pensieri, rocce e verità come unica condizione reale attraverso cui cogliere la bellezza dell’impermanenza, che è quella reale ed intriseca della vita in senso ampio.

Quei segni che, trasmigrando dalle tele cristallizzati in filamenti metallici bloccati in una dimensione di immutabilità e insieme aperti a mille vibrazioni, steli ritorti e spettrali, prendono immediatamente vita accendendosi per un raggio di luce che li attraversa nelle strutture trasparenti di metacrilato, come tracce fossili di una natura interiorizzata che affiora da strati profondi dell’essere, portata alla luce e trasposta nel vuoto, nell’immateriale come per operare una sorta di ultima, strenua salvaguardia.

Dal grado zero di un’assenza sensibile, Lisi con la sua capacità di sublimare i valori intrinseci e metaforici dei materiali, ci indica attraverso presenze raggelate e luminosissime, silenziose ed enigmatiche in equilibrio tra essere e nulla, che se la vita oggi più che mai è altrove, il compito dell’artista è riportarla qui e ora illuminandola del domani. Le opere affascinanti, silenziose e irragiungibili di Lisi, aprono un varco al volo dell’immaginazione, al mare profondo dell’essere nello spazio vuoto delle infinite possibilità e dei mondi auspicabili a cui attingere attraverso l’arte come spazio mitico per l’immaginazione e ancora una volta, della differenza.

(testo scritto in occasione della mostra “Cristalli d’acqua”, Museo della via Ostiense, Roma, in collaborazione con AAM, 1-23 ottobre 2004)